Tre grandi problemi della nostra società - la disoccupazione giovanile, la crisi economica e l’inefficienza dello Stato - devono essere affrontati simultaneamente; nessuno dei tre può essere risolto se non si risolvono gli altri due: e questa proposta keynesiana li affronta contemporaneamente

Antefatto

Un’economia non può funzionare bene senza uno Stato che funzioni in modo efficiente e un’amministrazione pubblica qualificata e adeguatamente dimensionata;
in Italia il tasso di disoccupazione ufficiale supera il 12%. Questo indicatore non tiene conto di oltre 3 milioni di persone che si dichiarano “inattive, ma disponibili a lavorare subito”. Questi sono, a tutti gli effetti, “disoccupati scoraggiati” i quali vengono ritenuti fuori dalle forze di lavoro perché non hanno compiuto azioni per la ricerca di lavoro nell’ultimo mese. Se anche questi si aggiungessero ai disoccupati ufficiali il tasso di disoccupazione italiano sarebbe assai più alto;
qualsiasi riforma modernizzante della Pubblica Amministrazione (riforma assolutamente necessaria e complementare di questa proposta) può raggiungere i risultati attesi in termini di efficienza ed efficacia solo se prevede anche un consistente aumento del personale qualificato;
in Italia, nonostante uno dei più bassi tassi di scolarità in Europa, c’è un’elevata disoccupazione anche fra coloro che hanno un livello di istruzione medio o alto;
una delle cause della bassa domanda di forza lavoro altamente qualificata è il basso numero di dipendenti pubblici: in tutti i paesi sviluppati il settore pubblico è il principale datore di lavoro per i laureati;
oggi l’età media dei dipendenti della P.A. si avvicina a 50 anni; il 48% del personale attuale andrà in pensione prima del 2029 e il 27% prima del 2024. È necessario quindi in tempi brevi un indilazionabile ricambio generazionale.

Nella P.A. italiana i dipendenti sono pochi

Nel loro insieme i dipendenti pubblici italiani sono molto meno numerosi di quanto siano negli altri paesi comparabili al nostro per dimensioni e livello di sviluppo: in Italia sono 3.350.000, in Francia circa 6.200.000 e nel Regno Unito circa 5.800.000. Persino negli USA ci sono più dipendenti pubblici per mille abitanti che in Italia, anche escludendo i militari;
questa differenza rimane anche se si considera la presenza del settore privato nella fornitura dei servizi pubblici; non è una conseguenza delle privatizzazioni dei servizi nel nostro e in altri paesi europei.

Precondizioni per lo sviluppo economico

La ripresa in Italia non è possibile senza la riforma della P.A.; riforma che richiede un suo allargamento e non una sua riduzione;
La politica di austerità impoverisce progressivamente il paese, fa crescere il numero di disoccupati, deprime salari, consumi e produzione di beni e causa il crollo del gettito fiscale; e quindi fa lievitare il rapporto fra debito pubblico e PIL;
è illusorio pensare che si possa rilanciare l’economia solo operando sul costo del lavoro.

Che fare per rilanciare l’economia?

Una politica di tipo keynesiano, ovvero un forte intervento dello Stato nell’economia, può far crescere la domanda interna, innescando un circolo virtuoso;
le politiche keynesiane classiche sono opportune ma insufficienti perché poco efficaci nell’affrontare i problemi della disoccupazione di personale qualificato e della carenza di servizi essenziali per la cittadinanza, i lavoratori e gli imprenditori;
proponiamo una politica atta a innescare un diverso circolo virtuoso keynesiano: 1) creazione diretta da parte dello Stato di occupazione qualificata, pari a circa un milione di laureati e diplomati assunti nei servizi maggiormente necessari per lo sviluppo del paese (sanità, sicurezza, scuola, giustizia civile, tutela del patrimonio artistico, e altri ancora) 2) conseguente crescita del volume dei redditi da lavoro dipendente 3) crescita dei consumi 4) crescita della produzione 5) crescita dell’occupazione indotta 6) crescita del gettito fiscale 7) riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL;
se assumiamo conservativamente un moltiplicatore uguale a 2, una iniezione di 20 miliardi per tre anni consecutivi genera un aumento del PIL pari a 20 mld dopo un anno, 50 mld dopo due anni e 85 mld alla fine del terzo anno.

Come finanziare la proposta keynesiana in modo compatibile con i vincoli europei?

Il costo pro-capite medio degli assunti può essere stimato in circa 20 mila Euro all’anno, supponendo una retribuzione netta di circa 1.200 Euro mensili per 13 mesi, e includendo gli oneri sociali ma non quelli fiscali. Pertanto, il costo del piano straordinario proposto, nell’ipotesi di un milione di nuovi assunti, è compreso fra i 15 e i 20 miliardi l’anno. Il piano dovrebbe restare in vigore orientativamente per tre anni, dopodiché la crescita del PIL consentirebbe il finanziamento con mezzi ordinari (si veda la sezione Che fare per rilanciare l’economia?). È una cifra consistente, ma reperibile; tanto più qualora l’imposizione fiscale necessaria fosse una vera imposizione di scopo;
il finanziamento del progetto deriverebbe da una limitata imposta patrimoniale sulla ricchezza finanziaria (e non sulla casa e le proprietà immobiliari, manovra che finirebbe per essere fortemente recessiva). Tale imposta non entrerebbe in conflitto con i vincoli europei sul rapporto deficit/PIL;
sarebbe sufficiente un’aliquota progressiva compresa tra lo 0,23 e il 7,78 per mille, dalla quale dovrebbero essere completamente esenti i nuclei familiari con una ricchezza finanziaria inferiore a 143 mila euro, vale a dire circa la metà delle famiglie;
l’aliquota è sufficientemente bassa per non intaccare lo stock di ricchezza, o per intaccarlo in misura minuscola.

I cittadini non si ribellerebbero a una nuova tassa?

Alcune importanti ricerche socioeconomiche indicano che i contribuenti non sarebbero maldisposti a una tassazione aggiuntiva, qualora ne condividano lo scopo e abbiano fiducia che il gettito vada realmente ed esclusivamente a raggiungere tale scopo, soprattutto se, come in questo caso, l’esazione dell’imposta non richiede alcun adempimento al contribuente, dato che il prelievo fiscale avverrebbe automaticamente;
il fatto che la disoccupazione giovanile tocchi direttamente o indirettamente una buona parte delle famiglie italiane avvicina e rende visibile a tutti la condivisione dello scopo;
la fiducia, notoriamente bassa nel nostro paese, può essere incentivata affidando il controllo del progetto e delle assunzioni a un’apposita agenzia tecnica di riconosciuta professionalità e rigorosamente apolitica;
una grave conseguenza delle politiche pseudo-liberiste degli ultimi anni è stata la rottura della solidarietà nazionale. La richiesta rivolta a chi può di contribuire attivamente alla lotta contro la disoccupazione, peraltro con un sacrificio limitato, può dare un significativo apporto alla sua ricostruzione.